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Contratto terapeutico & Preventivo
Il contratto terapeutico – firmato da psicologo e cliente – è divenuto obbligatorio in Italia durante il “governo Monti”.
Al fine di stendere un contratto terapeutico che sia il più efficace e equo possibile, la dottoressa Pajusco usa proporre un modulo di valutazione che dura: la prima visita più un numero di incontri che va da 2 a 4, a seconda della problematica portata.
Il modulo di valutazione è perciò di minimo 3 incontri e massimo 5 incontri, e si conclude con il contratto terapeutico e il preventivo. Ciò significa che in base alla diagnosi effettuata, la dottoressa Pajusco propone un percorso di trattamento che risolva alcuni nodi ben precisi, e che si svolga in un numero x di incontri all’onorario concordato.
La diagnosi – che sta alla base appunto del contratto terapeutico e del preventivo – tiene conto delle linee-guida fornite dalla comunità scientifica internazionale (in costante aggiornamento) secondo cui: quando i disturbi dell’asse I del DSM – disturbi caratterizzati da sintomi precisi – si presentano in comorbilità con i disturbi di personalità – generalmente asintomatici -, la terapia è più lunga e impegnativa.
A tale proposito, il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani all’articolo 23 stabilisce che: <lo psicologo pattuisce nella fase iniziale del rapporto quanto attiene al compenso professionale … in ambito clinico tale compenso non può essere condizionato all’esito o ai risultati dell’intervento professionale>. Tale specificazione inquadra la professione di psicologo nelle attività economiche di tipo tecnico-artistiche, in cui il risultato (intervento chirurgico, assoluzione in un processo giudiziario, preparazione a superare un esame, …) non è il naturale esito delle competenze spese per raggiungere tale esito.
Gruppi di Psicoterapia
Al pari delle psicoterapie analitiche e dinamiche, anche la psicoterapia cognitiva cura in setting: individuale, di coppia, familiare, di gruppo.
Nella CBT è possibile passare dal setting individuale a quello di coppia a quello familiare, nel corso dello stesso percorso di psicoterapia, a seconda dei diversi nodi che si stanno affrontando. Il setting pertanto è estremamente flessibile, pur con il massimo rispetto della privacy che impedisce al terapeuta di condividere negli incontri allargati ciò che è stato trattato negli incontri individuali.
Il gruppo di psicoterapia cognitivo-comportamentale è invece una esperienza piuttosto rara, data la “severità del reclutamento”.
Con ciò intendo che una volta che alcuni psicoterapeuti decidono di svolgere assieme un gruppo per un particolare disturbo (per esempio: insonnia, abbuffate compulsive, paura di volare, …), hanno il problema di selezionare le persone affette da quel disturbo e solo da quello. In realtà, molti disturbi mentali si presentano in comorbilità (dal latino: coesistenza di più morbi ossia più malattie) il che rende appunto difficile il reclutamento dei partecipanti al gruppo nonché l’attuazione dello stesso.
Altra cosa dai gruppi di psicoterapia sono i gruppi di auto-mutuo-aiuto! famosi sono quelli della LIDAP per le persone che soffrono di attacchi di panico. In questi gruppi non è presente alcuno specialista di salute mentale, dato che tutti i partecipanti sono protagonisti del processo di cura & guarigione.
CURA & GUARIGIONE
Il concetto di “cura” prevede il ristabilimento – attraverso appunto la cura – di quello stato di salute perso con la malattia.
La psicoterapia cognitiva non fa “tornare come prima” perché non toglie ma aggiunge/espande.
Nella psicoterapia cognitiva c’è senz’altro l’approccio medico tradizionale della cura [il metodo di Ippocrate] che prevede:
- evidenze oggettive,
- strumenti e test di intervento e di misurazione dei risultati,
- osservazione e trattamento di ciò che arriva ai nostri sensi esterni.
L’aggiunta o espansione di tale approccio classico di cura, consiste nella “guarigione” che concettualmente deriva da Esculapio, e che intenzionalmente è l’obiettivo della psicoterapia cognitiva.
L’attenzione in psicoterapia cognitiva è allora anche sulle:
- evidenze soggettive/personali,
- sensazioni corporee rispetto al “qui e ora”,
- emozioni e intuizioni e consapevolezze condivise di terapeuta e paziente.
THE BODY KEEPS THE SCORE
[questa famosa espressione si deve a Bessel van der Kolk, il quale è stato il Presidente della International Society for Traumatic Stress Studies (in Italia è la SISST), Professore di Psichiatria alla Boston University Medical School, e Direttore Sanitario del Centro per il Trauma al Justice Resource Institute di Brookline – Massachusetts]
A proposito della importanza del corpo nella CBT, Carlo Perris (1928-2000) professore emerito di psichiatria in Svezia e leader della psicoterapia cognitiva per la schizofrenia, fu l’ideatore del LOOP COGNITIVO COMPORTAMENTALE.
Nella mente umana, che è incarnata ovvero ha sede nel corpo:
valori e credenze sono interdipendenti dalle emozioni e dalle sensazioni corporee, che sono a loro volta interdipendenti dalle azioni che la persona esercita sul suo ambiente di vita [animato e inanimato] e dalle azioni che dall’ambiente di vita [persone, animali, fenomeni naturali, oggetti] la persona riceve e subisce.
Quando una persona si ammala, è quasi sempre possibile rilevare un CIRCOLO VIZIOSO che affligge la mente e il corpo, indipendentemente da dove sta la malattia. Questo circolo vizioso consiste nello sforzo costante di non provare nè emozioni nè pensieri negativi / catastrofici; tale costante tensione innesca: depressione, attacchi di panico, disturbi ossessivo-compulsivi, dipendenza da sostanze o da gioco, eczema o psoriasi, asma, disturbi gastrointestinali, mal di testa, svariati deficit del sistema immunitario, …..
In una visione olistica, in cui mente e corpo sono indivisibili e indistinguibili nella persona: quando la mente soffre, il corpo ha bisogno di intensificare la spiritualità.
La spiritualità non è appartenenza a una religione ma è connessione con l’ambiente di vita animato (natura) e inanimato (arte).
Un modo eccellente di coltivare la spiritualità è “tenere i piedi per terra” cioè camminare, fare giardinaggio, coltivare l’orto, cucinare; attività considerate importanti forme di cura in psicotraumatologia.
La psicotraumatologia è una disciplina scientifica nata nell’ambito del Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT), e ha come obiettivo primario la rieducazione della persona traumatizzata a stare nel “qui e ora” affinchè le memorie del trauma non continuino a provocarle dolore.
Eric Kandel premio Nobel per la Fisiologia/Medicina nel 2000, ha dimostrato che la memoria umana è un insieme di processi affettivi che hanno sede nel sistema limbico del sistema nervoso centrale, e – attraverso ormoni e neurotrasmettitori – in tutto il corpo. Così è ovvio che il ricordo traumatico può essere una emozione dolorosa che si manifesta come malattia fisica, e viceversa. E questa unicità della persona umana è studiata in modo interdisciplinare da un gruppo di scienziati occidentali guidati dal Dalai Lama.
A proposito della importanza per la psicotraumatologia della sostituzione di processi affettivi sani o buone memorie, ai ricordi intrusivi del trauma: il monaco buddhista Thich Nhat Hanh è convinto che quando si cammina in presenza mentale – ossia collegati al “qui e ora” – si è in contatto con tutte le meraviglie della vita che si hanno dentro di sé e intorno a sé, si sviluppano perciò ricordi felici! Nel Sutra del loto il Buddha è descritto come la più amata e rispettata fra le creature che camminano su due piedi, perché sa godersi una bella passeggiata!
MINDFULNESS
Secondo Jon Kabat-Zinn (2003) è <la consapevolezza che sorge nel prestare attenzione, di proposito, senza giudicare, al “qui e ora”>.
La psicoterapia cognitiva è interessata più al “qui e ora” – indagato da Vittorio Guidano con la tecnica della moviola – che al passato del paziente.
Nel libro The mindful therapist (2010), Daniel J. Siegel afferma che <le pratiche di consapevolezza mentale andrebbero inserite nella formazione di base per la mente di ogni terapeuta> medico, psicologo, fisioterapista, logopedista, …..
Il terapeuta ovvero “chi dà cura” è efficace quando:
- è attento / curioso al “qui e ora”;
- possiede forti propositi, ossia è appassionato e affezionato al ben-essere del proprio paziente;
- si occupa di qualsiasi esperienza personale, senza censure morali o ideologiche. E ciò è di particolare importanza, in modo ovviamente diverso, nei casi di: transessualismo, violenze familiari, pedofilia.
La mindfulness non è altra cosa dalla meditazione.
Fabio Giommi dichiara: <la mindfulness dei protocolli di Jon Kabat-Zinn e quella della meditazione sono la stessa e medesima “essenza”. Il punto è che lo sviluppo a cui apre la meditazione praticata nella sua forma “pura e piena” ha un orizzonte temporale e anche una potenzialità di approfondimento indefiniti: è “il lavoro di una vita”. La meditazione della mindfulness è una forma al tempo stessa “introduttiva” e orientata a dei risultati terapeutici. Una delle finalità di fondo originarie di Kabat-Zinn era infatti la possibilità di portare le potenzialità degli effetti trasformativi della consapevolezza meditativa sulla sofferenza all’interno dei contesti clinici istituzionali. Nei quali contesti clinici (ambulatori, ospedali, comunità terapeutiche) i tempi concessi e l’ampiezza degli orizzonti sono limitati, possono essere solo introduttivi>.
La mia personale esperienza di formazione in mindfulness è avvenuta all’Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia (Pisa) dove attualmente tiene validissimi percorsi formativi, di diversa durata e obiettivo: Silvia Bianchi.
DSPT (in inglese: PTSD, Post-Traumatic Stress Disorder)
Il Disturbo da Stress Post-Traumatico si sviluppa quando si fa esperienza di un trauma. È necessaria l’esperienza – diretta / in prima persona, o per conoscenza / esserne stati informati – di un evento o di più eventi che implicano per sé e/o per altri: morte o rischio di minaccia alla integrità psico-fisica [maltrattamenti, soprusi e raggiri ripetuti e negati, torture, …].
L’ovvia reazione della persona che fa questa esperienza è: paura, impotenza, orrore, disgusto. Il disturbo accade se tale reazione dura da più di quattro settimane.
Il DEBRIEFING è l’intervento che normalizza la sofferenza causata dal trauma, a breve distanza dal trauma, al fine di impedire lo svilupparsi del DSPT. Questo intervento di psicoeducazione serve a far sentire la persona totalmente sana nelle sue poco vantaggiose reazioni al trauma.
Per poter fare diagnosi di DSPT è necessario che la persona:
- abbia vissuto uno o più traumi,
- riviva ripetutamente e involontariamente l’esperienza vissuta [anche nel sonno con incubi e risvegli con panico],
- eviti ogni stimolo / input che le ricorda il trauma [non riuscendo spesso a ricordare proprio il trauma],
- manifesti sintomi di iperarousal [scarsissimo bisogno di dormire, scoppi d’ira, difficoltà a restare a lungo concentrata su un compito, movimenti corporei involontari, …],
- presenti difficoltà di funzionamento in qualche area della vita quotidiana [scuola, lavoro, amicizie, relazioni familiari, attività ricreative, igiene personale, …].
La SISST (Società Italiana per lo Studio dello Stress Traumatico) sta proponendo il DSPT complicato che è caratterizzato dai seguenti sintomi:
- sentimenti di vuoto, impotenza, colpa;
- ostilità, irritabilità, sfiducia in sé, sfiducia negli altri;
- sentimenti di indegnità (isolamento sociale e vergogna);
- paura di attaccarsi affettivamente a qualcuno e contemporaneamente dipendenza affettiva da qualcuno;
- stati mentali dissociativi (alienazione e senso di irrealtà);
- perdita di incoerenza nelle rappresentazioni di sé (compartimentazione dissociativa);
- problemi nella regolazione delle emozioni;
- vulnerabilità a atti auto-lesivi e a aggressioni esterne.
Tale complesso quadro clinico è spesso sovrapponibile a quello prodotto da un Disturbo di Personalità.
DOC (in inglese: OCD, Obsessive-Compulsive Disorder)
Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo è un disturbo mentale particolarmente debilitante che colpisce l’1–3 % della popolazione.
Le persone in questa condizione mostrano:
- COMPULSIONI
comportamenti ripetitivi e perseveranti di tipo motorio o mentale
[checking (controlli ripetuti), calcoli o filastrocche, ricerca di simmetrie o ordini particolari di oggetti / pensieri];
- OSSESSIONI
idee intrusive e fisse, ripetitive, persistenti, sconvenienti
[sono cariche di ansia (spesso anche di senso di colpa) dovuta al non riuscire a sbarazzarsene né a capirne il significato … infatti non c’entrano con l’attività in corso, e rubano concentrazione / attenzione alla attività in corso].
Francesco Mancini – che oltre ad avermi formata nella psicoterapia cognitiva, è uno dei maggiori esperti mondiali di DOC – concettualizza questo disturbo come una “responsabilità esagerata”. La persona affetta da DOC ritiene di essere responsabile di cose e/o persone di cui non è realisticamente responsabile.
Nella “responsabilità esagerata”, le ossessioni e le compulsioni hanno il senso di prevenire qualche evento temuto e di ridurre l’ansia e il senso di colpa che accompagna le ossessioni stesse.
Il senso di colpa tipico del DOC è – sempre secondo Mancini & D’Olimpio (2014) – DEONTOLOGICO. Ciò significa che la persona affetta da DOC è convinta di aver violato o di stare per violare un codice o una norma morale, anche se nessuno è stato o sarà danneggiato da tale violazione. Questo senso di colpa – appunto tipico del DOC – è ben diverso dal “senso di colpa del sopravvissuto” ovvero dal sentirci in colpa perchè qualcuno è vittima di danni, torture, malattie, mentre noi “stiamo bene”.
Il DOC può essere presente nel DSPT complicato o nei Disturbi di Personalità, come sintomi (come ossessioni o compulsioni) o come disturbo in comorbilità.
I Disturbi di Personalità
[dal libro Los Trastornos de la Personalidad. Modelos y tratamiento. Edito dalla Biblioteca de Psicologìa Desclée De Brouwer, 2008, a cura di Giancarlo Dimaggio e Antonio Semerari]
Dal 1996 la associazione tra professionisti APC – SPC è specializzata nella analisi del processo psicoterapeutico con pazienti difficili.
Il gruppo fa capo a Antonio Semerari e comprende: Antonino Carcione, Giancarlo Dimaggio, Maurizio Falcone, Giuseppe Nicolò, Michele Procacci, sotto l’egida del “maestro della psicoterapia del paziente difficile” che fu Carlo Perris.
Secondo questi studiosi, il disturbo della personalità è una disfunzione che riguarda la maniera in cui la persona:
- si relaziona con se stessa
(come organizza il suo mondo interno: emozioni, stati corporei, sistema di significati),
- si relaziona con gli altri,
- appartiene a gruppi (famiglia, agenzie educative, associazioni, sette, …).
La disfunzione è rispetto a una più delle operazioni mentali che costituiscono la personalità, ossia: costruire la immagine di sé, dare significato alla realtà, agire nell’ambiente di vita, relazionarsi con gli altri, trovare soluzioni efficaci/sane ai problemi della vita quotidiana.
Le disfunzioni possibili si organizzano in prototipi caratterizzati da elementi comuni che si assemblano in modalità riconoscibili di funzionamento intrapsichico e interpersonale.
Ogni prototipo presenta diversi quadri clinici: è perciò importante diagnosticare correttamente il tipo di prototipo e le sue modalità di funzionamento. I sintomi – ad esempio: panico, ossessioni, comportamenti autolesivi, idee di suicidio – rappresentano la diagnosi descrittiva che è ingannevole rispetto alla diagnosi esplicativa, in quanto la descrizione dei sintomi offusca le reali disfunzioni della personalità, su cui il terapeuta esperto dirige il trattamento.
Marsha Linehan – che nel 1993 pubblicò il famosissimo manuale di trattamento cognitivo comportamentale del disturbo di personalità borderline – nella sua DBT [Terapia Dialettico-Comportamentale] privilegia la mindfulness alla psicofarmacologia nella cura dei disturbi di personalità.